Balsam
Lettera dei cooperanti italiani in Palestina del 18 giugno 2001

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Cercate in libreria EMERGENZA PALESTINA, Diario della seconda intifada (PROSPETTIVA EDIZIONI), di Marco Grazia con una prefazione di Tano D'Amico. I primi cinque mesi di Intifada, raccontati da uno di noi. Lo trovate in tutte le librerie.


Adesioni all'appello "PER NON DIMENTICARE SABRA E CHATILA" : schiarin@ilmanifesto.it
Marco Gallucci, cooperante italiano, respinto alla frontiera israeliana. Ancora nessuna reazione dal ministero degli esteri italiano ?
in questa lettera: Una"Tregua" per quale "pace"?- Ferita Neta Golan- Freccette per il tiro a segno - Profughi e non solo (da L.Zambrano)
Quale tregua per quale pace ? Stiamo vedendo i soliti massmedia cavalcare l'ennesima notizia che risponda alla richiesta di buonismo italico. C'e' una tregua dettata e imposta dalla CIA e da Israele pero' quei cattivelli di palestinesi fanno resistenza-ci dicono. E non solo i soliti noti (RAI,Repubblica, Corriere ecc) ma, dato che ora c'e' il satellite, abbiamo sentito anche il notiziario di una radio milanese, Radio Popolare , che il 15 giugno alle 18 e 19,30, con la partecipazione di Guido Olimpio, partigiano giornalista del Corriere, ci raccontava solo delle dichiarazioni di Sharon ma su quanto detto dalla PNA, nulla. Cosi' come si sorvola sul fatto che durante la cosidetta tregua ci sono stati 1 palestinese ucciso dai coloni israeliani, 2 ragazzi di 12 anni uccisi dai soldati, oltre 20 feriti palestinesi. Dall'altra parte 3 feriti israeliani. Intanto il ritiro delle forze armate israeliane qui sul terreno non si nota . Secondo voi chi non rispetta la cosidetta tregua, forse piu' "televisiva" che reale? E che la situazione non sia per nulla migliorata lo conferma anche una dichiarazione del capo dell'Unrwa, l'agenzia dell'Onu per i rifugiati. Tregua, pace , pace giusta, trattativa: parole vuote se non si mette mano alla situazione reale, se non si accetta che solo l'applicazione delle risoluzioni ONU, tutte le risoluzioni, sono premessa e non oggetto di trattativa. E l'aggettivo " giusta" a fianco alla parola pace non puo' essere paravento per accettare anche una sola imposizione israeliana. Non lo vogliono neanche quei pacifisti israeliani che l'altro giorno hanno dimostrato pacificamente contro l'allargamento della colonia di Efrat e la chiusura del villaggio di El Khader, a sud di Betlemme. Durante questa manifestazione soldati e polizia israeliana hanno reagito duramente come al solito. Neta Golan, la pacifista israeliana conosciuta anche in Italia, e' stata arrestata e picchiata, subendo la frattura di un braccio. Anita Fast, un'altra pacifista canadese e' stata anche lei picchiata e arrestata. Un'altra canadese, Patricia Katagiri, giorni prima, in un'altra manifestazione vicino la colonia di Ariel, era stata arrestata. Come si vede l'atteggiamento israeliano non e' cambiato, anzi. E' questa la tregua sbandierata?
Fleshettes - Freccette Mesi fa avevamo riferito di aver visto con i nostri occhi le conseguenze dei tiri israeliani sulle case palestinesi, e avevamo anche le foto. I soldati usavano proiettili esplodenti che diffondevano piccoli dardi tutto intorno, moltiplicandone gli effetti nefasti. Dopo la morte delle tre donne nel campo beduino a Gaza, sui cui corpi sono state trovate queste freccette, anche l'agenzia di stampa Reuters si e' accorta di questo uso. L'esercito israeliano ha detto che c'e' un inchiesta in corso e che l'uso di quei proiettili e' stato un errore. Attenti, dicono che li' e' stato un errore, no che non siano stati usati in altri luoghi !!
PROFUGHI E NON SOLO Il 7 giugno il manifesto titolava "34 anni bastano" riprendendo lo slogan delle iniziative di questi giorni per chiedere la fine dell'occupazione israeliana in Cisgiordania e Gaza. Io avrei scritto 53 anni bastano.E' al 1948 che bisogna risalire per datare l'avvio delle sofferenze e delle umiliazioni subite dai Palestinesi;la " Nakba ",la catastrofe,con la conquista dei villaggi e delle terre palestinesi perpetrata dalle truppe israeliane,regolari e terroristiche,ben oltre quanto deciso dalle Nazioni Unite, va considerata come elemento decisivo per la soluzione del conflitto.Perche' vuol dire affrontare la questione dei profughi.Che nel 1948 erano 750.000 e sono ora circa 3 milioni e mezzo,a seguito dell'occupazione del 1967 e "dell'incremento naturale".Una risoluzione delle Nazioni Unite,la 194, reiterata piu' volte,riconosce loro il diritto al ritorno.Diritto puro e semplice,senza aggettivi aggiuntivi.E' tempo che il pacifismo internazionale e la sinistra italiana si confrontino con questo dato, senza tentennamenti o scappatoie.E partendo da cio' valutino le iniziative e gli appelli anche del "campo pacifista" israeliano,distinguendo tra la sinistra antisionista e il pacifismo "labour" ma sionista.Sulla questione profughi,quest'ultimo mantiene una posizione per niente condivisibile.Non e' secondario rivolgere anche un'attenzione maggiore al dibattito nel campo palestinese, dove il "movimento"dei campi profughi non sempre si riconosce nelle posizioni dell' Autorita' nazionale palestinese. L'appello lanciato dalla coalizione israeliana di donne per una pace giusta,pubblicato da il manifesto,e intorno al quale si sono svolte le iniziative del 7 giugno,organizzate principalmente dalla rete di Donne in nero,non esplicita il riconoscimento del "diritto"al ritorno dei profughi palestinesi.Cio' marca una delle differenze con i gruppi antisionisti presenti in Israele e con quanto sostengono le "80 tesi per un nuovo movimento pacifista" lanciate dagli israeliani di Gush Shalom. Dire,come fa la Coalizione donne,che "Israele riconosca la sua responsabilita' nelle conseguenze della guerra del 1948" non e' la stessa cosa che "Israele riconosca il diritto al ritorno come diritto umano inalienabile"presente nelle tesi.La mobilitazione non puo' prescindere da questo riconoscimento non negoziabile.Le soluzioni pratiche andranno trovate di conseguenza.Certo,di questi tempi, nel costruire o aderire a manifestazioni in Italia,che chiedono la fine dell'occupazione militare israeliana,si guardano poco i dettagli.Per il semplice motivo che,giustamente,almeno si svolgono iniziative per fermare il massacro.Ma la questione profughi non puo' mantenere un basso profilo,questione secondaria rispetto a Gerusalemme e le colonie israeliane.Non lo e' per i milioni di profughi che lottano per non essere dimenticati.A loro dobbiamo ascolto,a loro vanno date risposte. Altrimenti assisteremo,con l'ennesima "sorpresa" dei piu' sprovveduti,ad una ulteriore "Intifada" contro accordi "di pace" silenti sul loro diritto.E forse e' tempo che la rappresentanza palestinese metta in agenda la costruzione di una iniziativa concreta per il riconoscimento,anche individuale, del diritto al risarcimento per le perdite di case e terre di proprieta' subite dai palestinesi.Un risarcimento separato dal riconoscimento del diritto al ritorno e che faccia tesoro delle procedure di risarcimenti di massa per responsabilita' oggettive e soggettive concluse negli ultimi anni in Europa. Luisa Morgantini ci ricordava anche della grande iniziativa che le Donne in nero hanno sviluppato in questi mesi,facendo arrivare in Palestina decine di donne con un ruolo decisivo per l'informazione e la solidarieta' Ma ora forse occorre rivolgersi ad altri.Per far sentire le nostre voci alla comunita' internazionale e al nuovo governo italiano-necessita' indifferibile e sono d'accordo con Morgantini-occorre ritornare in Italia e sviluppare una campagna che abbia le stesse caratteristiche di continuita' ed omogeneita'.Leggiamo di iniziative e manifestazioni che si sono svolte e si svolgono,anche se con difficolta',in tutte le parti d'Italia.L'impressione e' che siano discontinue e e non coordinate.Partendo dall'esperienza delle Donne in nero perche' non lanciare in Italia una campagna nei confronti del governo e dell'Unione Europea ? Una campagna che abbia le caratteristiche di appuntamenti ricorrenti,collegati tra loro,che veda impegnati l'associazionismo,i partiti,il sindacato,le organizzazioni non governative e il settore degli enti locali, per ampliare l'informazione corretta su quanto accade in Palestina e su alcune precise ed essenziali richieste(protezione internazionale,applicazione di tutte le risoluzioni ONU,diritto allo Stato)su cui il governo italiano e l'Unione europea assumano impegni precisi.In particolare il mondo delle organizzazioni non governative dovrebbe superare il ritardo politico accumulato sulla questione palestinese.Al di la' della "piattaforma Palestina"delle Ong laiche,che ha cercato di sviluppare iniziative in tal senso,le singole Ong potrebbero fare molto piu' rispetto alla gestione "amministrativistica"dei progetti o all'accettazione pura e semplice dele indicazioni istituzionali. Gli interventi per lo sviluppo non dovrebbero essere una variabile indipendente dalla lotta per i diritti e l' autodeterminazione di un popolo.Ma anche gli enti locali,dopo la grande kermesse di settembre 2000 a Betlemme improntata all'accettazione acritica dei defunti accordi di Oslo,non possono evitare di rilanciare un loro impegno,completamente assente in questi drammatici mesi.I palestinesi ci ripetono ogni giorno che l'iniziativa per l'affermazione dei loro diritti, piu' volte riaffermati da organismi internazionali, deve superare i confini di Cisgiordania e Gaza, trovando nei popoli del mondo quella necessaria amplificazione alla loro fievole voce. (Lino Zambrano, cooperante Ong AICOS in Palestina) .